Il costituzionalismo

Dr. Leonardo Paoluzzi  

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Nel rivolgermi ai colleghi che leggeranno questo scritto, mi sento di dire che all’epoca attuale troppo spesso siamo presi e/o anche “spinti”dal voler fare, che ci dimentichiamo di dover comprendere. La terapia è ciò che ci viene richiesto di fare ma la diagnosi rimane il momento centrale dell’atto medico. La terapia si può fare con mille cose diverse, dalle più convenzionali alle più alternative, tutte possono avere un senso, ma ciò che non trova senso è la mancata diagnosi e l’errore diagnostico. E’ proprio questa ricerca continua di una nuova terapia, di nuove forme di cura che ci porta lontano dall’obiettivo principale che è quello di porre una corretta diagnosi legata a quel soggetto e non già una diagnosi che può andare bene per chiunque: dobbiamo porre una diagnosi energetica costituzionale. In definitiva dovremmo porre l’accento sul soggetto in esame, capirne l’essenza profonda e scoprire qual è la “sua” malattia; dove e come il suo assetto PNEI ( psiconeuroimmunoendocrino) si è alterato.E’ chiaro che come medici siamo chiamati a fare, a dare risposte, a risolvere ma, presi da queste necessità e soprattutto presi dalla fretta di arrivare alla terapia, saltiamo, per così dire, delle fasi conoscitive del paziente che poi paghiamo a caro prezzo.

Infatti troppo spesso, al di là dell’ immediato e talora brillante risultato ottenuto, ci troviamo a dover affrontare, in un secondo tempo, i danni prodotti da incongrue scelte o peggio ci ritroviamo di fronte allo stesso problema con un grado maggiore di gravità e con minore possibilità di azione. E questo perché nella fase iniziale non si è andati abbastanza in profondità per ciò che attiene allo studio delle cause del “riferito” disturbo o della “riferita” sintomatologia.Partendo dall’affermazione che c’è una terapia specifica per ogni soggetto, vogliamo affermare che lo scopo principale del medico è quello di individuare prima di tutto il soggetto colpito dall’affezione e poi, posta la diagnosi “costituzionale”, ricercare le cause che hanno portato alla malattia e quindi alla fine, progettare la strategia terapeutica idonea. Da ciò ne deriva che l’intento di “fare” una terapia è quello di ricondurre il soggetto malato verso quelli che sono i suoi parametri di normalità e non già eliminare i fastidiosi sintomi.
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PNEI TRADIZIONE MTC

Della salute dell’uomo e della sua tendenza ad ammalare, Della sua possibilità di guarire, Del suo essere Corpo, Mente e Polis, Dello Shen e del Jing

“ogni momento del divenire è attuazione di una precedente potenza e costituzione di una potenza che renderà possibile una nuova attuazione. Tutto il mondo è un processo di crescente determinazione, in cui la perfetta idealità della forma si attua sempre più dall'imperfetta materialità della potenza”

Aristotele

Mentre le singole scienze studiano un aspetto particolare dell'essere (la matematica studia l'essere come quantità, la fisica l'essere come movimento ecc.) la filosofia prima o metafisica si occupa di quell'essere che viene prima e che sta alla base di tutti gli esseri particolari, studia l'essere in quanto essere, l'essenza. Da qui la concezione che Aristotele ha della filosofia come quella disciplina che costituisce il fondamento di tutte le altre scienze particolari che studiano una parte del reale e che quindi presuppongono la filosofia che studia il reale in quanto tale: per questo la filosofia è la scienza prima.

Nicola Pende che è stato uno dei più grandi medici del XX secolo, al pari di Alexis Carrell, premio Nobel per la medicina e autore del libro "L'uomo, questo sconosciuto", fu il creatore dell'Endocrinologia, terminologia che lui stesso diede a questa fondamentale branca della conoscenza medica, e della "Psico-neuro-endocrino-immunologia" e che sta ad indicare la sostanziale unità di tutte le componenti della natura umana. Due medici, uno clinico e l’altro chirurgo, che partendo da concezioni diverse approdarono all’UOMO inteso come UNO. Carrel, nel primo capitolo del suo libro, puntualizza che, nonostante i grandissimi passi in avanti compiuti dalla scienza, l'ignoranza che l'uomo ha di se stesso rimane grandissima in quanto sfugge la conoscenza dell'uomo come tutto e come uno.

Questa mancanza di visione integrata dell’essere umano ha fatto si che immaginando di vivere in una maniera migliore è andato verso ciò che, erroneamente, riteneva un progresso di civiltà ed ha permesso che si realizzassero certi cambiamenti dell'ambiente e si creassero dei nuovi modi di vivere che, di fatto, sono risultati nocivi per l'uomo. Cambiamenti che hanno portato ad uno stravolgimento di tutto quello per cui la natura aveva impiegato milioni di anni per raffinarlo e presentarcelo quasi perfetto, tanto che oggi conosciamo un uomo sempre pieno di problemi, stanco, scontento e schiavo dei farmaci. Ci siamo sostituiti a Dio pensando di creare (la plastica, le centrali nucleari, gli OGM) mentre invece stiamo distruggendo ciò che Dio ha creato.

Nel campo medico abbiamo cercato di semplificare la complessità dell’essere riducendo l’individuo (ormai più che divisibile) ad una entità statistica, ad un numero ed ad una percentuale e quando non rientra in questi parametri diciamo che è malato e quindi devi essere curato per rientrare nella “normalità”. Ma qual’ è la normalità? Secondo la medicina accademica è quella espressa da un numero quindi legata alla quantità, tralasciando la qualità. Però si parla della qualità della vita intendendo che cosa? Non saprei dare una risposta univoca a nessuna di queste domande. Eppoi, perché un bambino dell’Africa dell’ovest dovrebbe ridere e quindi darci l’idea di felicità quando gli regaliamo una scatola di colori se a mala pena forse avrà qualcosa da mangiare per cena. Perché? Perché canta e balla in mezzo alla polvere della strada quando è vestito con stracci in dosso e magari è anche scalzo. Non lo so.

Che cosa è la normalità? Secondo la biomedicina ovvero la medicina accademica, la normalità è data dalla valutazione dell’insieme di tutti i parametri esaminati (quindi è limitata dai mezzi di analisi e dalla difficoltà del distretto); ogni parametro esaminato, riferito al singolo organo o apparato, è di volta in volta rappresentato da un dato “numerico-variabile” compreso tra un minimo ed un massimo (che talora prevede una oscillazione di molte unità tra i due estremi), dentro il quale si ritrovano, statisticamente, diciamo così, tutti i soggetti ritenuti normali.

Pertanto è ritenuto anormale e quindi a tendenza patologica o francamente patologico, chi si trova al di fuori di uno di quei parametri “statistici “ costruiti artificialmente.

A tale riguardo per sottolineare, da un punto di vista pratico l’incongruità della cosa, vorrei ricordare la famosa poesia del Trilussa, il quale diceva che se un soggetto mangia due polli e un altro zero, statisticamente hanno mangiato un pollo a testa; in realtà uno è a stomaco vuoto. Quindi possiamo dire che la statistica, e non siamo certo qui a negarne la validità, va bene solo per i grandi numeri e per i dati epidemiologici, ma certamente mal si adatta all’essere umano che non è riconducibile ad un semplice numero statistico. Ad esempio, anche quando quel trattamento va bene per il 90% dei soggetti affetti da quella patologia, la domanda che mi pongo e se il mio paziente è fra i 90 oppure no. Mi sembra una domanda importante che rende valida l’affermazione iniziale relativa al dover curare quel soggetto e non il dato statistico. Certo tra la possibilità di curarne 90/100 mi fa ben sperare, ma quel dieci per cento chi è e che fine fa.

Quindi la domanda che cos’è la normalità rimane senza risposta, oppure diciamo che è ciò che propone la statistica con tutti i suoi limiti (ma anche i vantaggi) . Dopo circa quaranta anni che opero nel campo medico e dopo oltre 36 che esercito la professione medica, mi sono reso conto che ogni essere umano è un universo difficile da esplorare e tanto più da poter conoscere e comprendere al punto tale che, averlo ridotto ad una entità statistica, è certamente comodo e pratico, ma raramente utile, perché distante dalla realtà individuale.

Perché ci ammaliamo? Un’altra domanda la cui risposta è difficile dare tout-court. Forse possiamo dire che cos’è la malattia, ma perché ci ammaliamo è altra cosa. Forse possiamo dire che quei tre sintomi quando sono insieme identificano nosograficamente una determinata patologia, ma perché ci ammaliamo è altra cosa. Un concetto antico quanto l’uomo è che ci ammaliamo perché si è rotto un equilibrio, perché qualcosa ha rotto quell’equilibrio. Ma su che cosa poggia quell’equilibrio. La produzione di adeguate quantità e qualità di anticorpi per esempio, su che cosa poggia; la variabile produzione di catecolamine da che cosa dipende. Perché alcune volte sono in equilibrio e altre volte non lo sono. Quali sono gli elementi che cambiano …. Chi controlla queste variabilità … Tutta una serie di domande che non hanno una risposta univoca e soprattutto non riconoscono sempre lo stesso meccanismo o lo stesso momento scatenante.

Sul nostro stato di equilibrio e quindi sulla nostra salute quanto incide lo stress e lo stile di vita?

Diciamo subito che non si può prescindere dallo stress quale fattore intimamente legato alla vita, poiché per stress intendiamo quell’insieme di situazioni che mettono il “sistema preposto alla vita” nella condizione migliore atta a dare una risposta di massima efficienza. Pensiamo ad esempio al momento che precede un esame o una competizione sportiva. Diversi parametri si modificano in maniera piuttosto rapida perdendo i loro valori di normalità (frequenza cardiaca, sudorazione, salivazione, glicemia, adrenalina, valori pressori, …) per entrare in altri valori di normalità legati a quella condizione. Quindi possiamo dire che per ogni condizione relata ad un particolare momento della vita ci sono valori di normalità diversi che devono essere interpretati alla luce della condizione esaminata. Lo stesso Selye, il padre della moderna medicina, sosteneva che “l’adattabilità è forse la capacità più grande che hanno gli esseri viventi. Per mantenere l’indipendenza e l’individualità di ogni singolo essere umano nessuna delle grandi forze della materia è tanto efficiente quanto quella capacità di difesa e di adattabilità di fronte ad ogni mutamento che noi designiamo con il nome di vita e la cui perdita costituisce la morte ”. Se pensiamo poi che il genere umano ha rischiato di estinguersi 195.000 anni fa, quando le condizioni del pianeta cambiarono profondamente per una ennesima glaciazione e che solo grazie a fortunate coincidenze e alla capacità di adattamento l’homo sapiens sopravvisse a tutte le altre specie allora viventi, ci rendiamo conto dell’importanza dell’affermazione di Selye. Questa semplice considerazione ci permette di mettere in evidenza la relatività dei numeri che utilizziamo quotidianamente per definire lo stato normale del soggetto poiché la vita fluisce tra continue variazioni e sollecitazioni, frutto di necessari adattamenti sia ambientali-climatici che psicologici-comportamentali.

Che le cose stessero in maniera diversa di come ce le rappresentiamo oggi noi quando parliamo di parametri di normalità (nel senso sopra indicato), già i medici dell’antichità a partire da Ippocrate se ne erano accorti poiché parlavano di costituzioni e di reattività individuali quale base di una “disponibilità ad ammalare”. Ognuno di noi infatti ha la sua propria disponibilità ad ammalare, la sua specifica vulnerabilità, addirittura con caratteristiche particolari all’interno della stessa famiglia e/o della stessa comunità, tant’è che si parla di malattie eredo-familiari e di soggetti etnicamente predisposti. Quello che poi riscontriamo abbastanza facilmente è come certi tipi di comportamento si pongano in parallelo con certe malattie. Allora forse che alla base del perché ci ammaliamo e del perché l’equilibrio si rompe dobbiamo considerare altri parametri che non sono solo quelli che abitualmente consideriamo?

Forse che la connessione tra mente e corpo, per dirla in maniera semplice, è alla base del nostro equilibrio e quindi alla base del concetto salute/malattia? Se così fosse ci dovremmo immaginare che il mal di stomaco può anche non dipendere dallo stomaco o che il mal di denti può anche non dipendere dai denti. Certo è che in una visione olistica dell’essere umano in cui tutte le sue componenti organiche e non organiche sono intimamente correlate, al di là dell’anatomia soggiacente, il luogo di comparsa del sintomo non necessariamente corrisponde all’organo che “si lamenta” ma può avere una origine ben distante da esso sia nello spazio e soprattutto più spesso nel tempo. Citiamo a mo’ di esempio la possibilità di uno stato continuato di tensione per un figlio lontano o per una instabilità economica che può portare nel soggetto predisposto o ad una ipertensione arteriosa o ad una gastrite o ad entrambe. E’ evidente che è altra cosa quel mal di stomaco derivato da una ingestione accidentale di acido o di altra sostanza gastrolesiva. Pertanto nel momento in cui abbiamo escluso una possibilità organica diretta quale causa del sintomo, dobbiamo necessariamente pensare ad altro ed è di tutta evidenza che nelle malattie acute l’interessamento organico è prevalente mentre nelle malattie croniche l’interessamento funzionale è quello in causa.

Se dovessi rappresentare metaforicamente questo concetto direi che “la goccia scava la pietra”, ovvero il piccolo stimolo ma continuativo è enormemente più lesivo delle sue intrinseche possibilità. Questa visione semplificata della patogenesi di un mal di stomaco porta inevitabilmente a scelte terapeutiche profondamente diverse in quanto nel caso dell’acuto dovrò agire più sulla difesa dello stomaco per ridurre l’azione aggressiva, mentre nel cronico, le cui cause abbiamo detto partono da lontano, dovrò agire altrove primariamente e solo secondariamente sullo stomaco. Questo modo di approcciare ci fa distinguere un trattamento sintomatico da un trattamento causale e cioè ci pone di fronte alla domanda da dove prende origine il problema e non solo dove si manifesta.

Esiste una fisiologia di ordine generale che riguarda tutti e che fa riferimento alle grandi leggi della fisica, della chimica, della biochimica ecc..e soprattutto esiste una fisiologia individuale che potremmo definire su scala ridotta e che ha trovato un suo equilibrio particolare in quel determinato soggetto. Dal momento in cui nasciamo siamo in costante e continuo cambiamento (anabolico-catabolico) che si relaziona più o meno direttamente con due distinte modalità: una di tipo genetico predeterminata e un’altra di tipo indeterminata variabile da soggetto a soggetto, da ambiente ad ambiente. Stiamo parlando di genotipo e fenotipo. Mentre per il genotipo c’è poco (forse) da dire, per il fenotipo potremmo parlarne per giorni. L’espressione fenotipica diciamo subito che è la risposta adattativa del soggetto all’ambiente nel quale è vissuto e con il quale ha dovuto fare i conti la sua srittura genetica. Il risultato di ciò è quello che vediamo sul piano fisico-somatico attraverso la morfobiotipologia, ma è molto di più quello che non vediamo e che avviene direttamente sul piano mentale-spirituale (morfopsicobiotipologia).

Ciò che fa muovere il mio corpo fisico, ciò che mi fa prendere le decisioni, ciò che plasma le mie attività esteriori è la componente mentale-spirituale. Se volessimo anche in questo caso usare una metafora potremmo dire che ogni corpo umano è uguale ad un DVD in quanto la parte materiale, i componenti strutturali, sono gli stessi mentre ciò che lo anima e lo rende diverso, quindi ciò che è rappresentato dalla parte elettronica non visibile che è dentro, è paragonabile alla componente umana mentale. Allora per leggere quel DVD ho bisogno di un programma di lettura, di una sorta di decodificatore in grado di permettermene la lettura e la comprensione, devo possedere strumenti di diagnosi adeguati che non possono prescindere dalla semeiotica.

Alla luce di quanto fin qui esposto il lavoro del medico quindi si traduce nella capacità di lettura del supporto anatomico dentro il quale in maniera dinamica stanno scritte e vengono continuamente scritte le storie che identificano quel soggetto e che lo rendono unico. Diciamo che fino ad oggi non ci sono copie possibili, neanche quelle “pirata”.

Il software che il medico ha a sua disposizione e che deve apprendere ed aggiornare continuamente è dato dalla semeiotica medica (non più praticata dai medici) e non già solo anatomica, bensì energetica, in quanto la scrittura e quindi il linguaggio è di tipo energetico “elettromagnetico”. Il linguaggio energetico che il corpo usa per esprimersi nel darci informazioni è di tipo psiconeuroendocrino con l’estensione del concetto neuro che non vuol dire né centrale né periferico, bensì diffuso e presente in ogni dove. Questo dato di estensione del concetto neuroendocrino e dei suoi recettori, è stato recentemente e ampiamente revisionato dalle scoperte biochimiche messe in luce dalla dott.ssa Candace Pert ricercatrice del Dipartimento di fisiologia e biofisica della Facoltà di medicina della Georgetown University a Washington, Stati Uniti, nello studio condotto a proposito dei recettori oppiodi.

"Sono" dunque "soffro"

Citando le parole testuali di Deepak Chopra tratte dalla prefazione al libro della Pert, Molecole di Emozioni, edizioni TEA “ ….le ricerche da lei condotte hanno rivelato in che modo le sostanze chimiche prodotte dall’organismo umano, ossia i neuro peptidi e i loro recettori, costituiscono la base biologica della coscienza, manifestandosi sotto forma di emozioni, convinzioni e aspettative, e influenzando profondamente il modo in cui l’uomo reagisce e percepisce il mondo….. in che modo la coscienza possa addirittura trasformare la materia creando un corpo del tutto nuovo ”.

Un sistema di coordinamento dei milioni di milioni di molecole che vanno in giro per il corpo senza apparente ordine, è dato da quello che oggi la scienza moderna chiama PNEI ovvero Psico-Neuro-Endocrino-Immune, il quale presiede a tutte le funzioni del nostro corpo. Anche la scienza moderna e la medicina attuale hanno conquistato il concetto di Olismo, forse non sapendolo ma certamente non applicandolo ancora. L’aver dimostrato che comportamenti mentali, attività del pensiero, sentimenti e stati d’animo possono influenzare la produzione di anticorpi nonché di ormoni e di neuro mediatori in generale, che le emozioni sono molecole, significa che la relazione mente – corpo e corpo- mente è di fondamentale importanza per la regolazione della fisiologia umana non più svincolata, come in passato, dalle attività, diciamo così, del pensiero.

Possiamo senza dubbio affermare che SONO CIÒ CHE PENSO, VIVO PER COME PENSO, PERCIÒ MI AMMALO PER COME PENSO. Non più il dualismo cartesiano “cogito ergo sum”, ma “sono dunque soffro”.

Detta così sembrerebbe che la mente è tutto e che tutto può. In parte è vero, bisogna però mettersi d’accordo su che cosa è la mente. Come medici siamo portati ad identificare la mente con la struttura anatomica del cervello e con le sue capacità mentali intellettive. Questa però è una visione riduzionistica della mente o detto meglio del Mentale. Per intenderci diciamo che la mente è ciò che fa riferimento al razionale cognitivo, mentre il Mentale è ciò che comprende sia il cognitivo che il non cognitivo, cioè l’istintivo-emotivo (nel senso latino di ciò che muove).

Se dobbiamo fare un “calcolo” matematico useremo la nostra parte mentale razionale e fredda senza che intervengano o interferiscano altri fattori; se dobbiamo decidere di essere amico di qualcuno (ammesso che si possa decidere) certo non useremo questa parte razionale, ma ci affideremo a ciò che il soggetto ci muove dentro. lo stesso dicasi se dobbiamo acquistare un paio di scarpe; è chiaro che dovranno avere una funzione precisa in base alle nostre necessità ma alla fine di tutto dovranno piacerci e questo esula dal dato razionale.

Ora nella vita di tutti i giorni quante volte la gente deve fare calcoli matematici o si trova a dover scegliere secondo un criterio diverso. Ecco, questo è il Mentale e l’ uso che ne facciamo, la combinazione in altre parole di entrambe. Quello che è certamente difficile e che genera o può generare conflitto nel quotidiano è la condizione in cui i dati razionali contrastano con quelli emozionali e viceversa. A questo punto viene fuori il lato caratteriale del soggetto e cioè se si tratta di uno che si butta o no, di uno che segue il Cuore o la mente, se è in grado di gettare il Cuore oltre l’ostacolo. Non tutti riescono a farlo, perché?
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